Morti di Stato: Federico Aldrovandi / 2

A distanza di un anno ampliamo la scaletta dei brani dedicati a Federico: con altri tre artisti cercheremo di mantenerne vivo il ricordo.
LA GHENGA DEL FIL DI FERRO – ABUSO DI POTERE
MASSIMO BUBOLA – QUANTE VOLTE SI PUO’ MORIRE E VIVERE
DARKEEMO – LA CROCE

1 LA GHENGA DEL FIL DI FERRO – ABUSO DI POTERE
Abuso di Potere è una canzone de La Ghenga del Fil di Ferro che non fa riferimenti specifici alla vicenda di Federico, ma ha nei suoi versi tutti gli elementi generali che riguardano le modalità con cui si svolse il fermo di polizia che il 25 settembre del 2005 gli fu fatale. Il brano incomincia con la registrazione della sirena di una volante che si avvicina sempre più all’ascoltatore, in un crescendo che esplode quando attacca la canzone dei toscani dediti ad un punk rock con venature di hardcore melodico. “Questo abuso di potere che la polizia fa / E minaccia la mia libertà / Ogni giorno per le strade / A piedi o in macchina / Ormai hanno invaso la città”. Il testo, come del resto il titolo, è semplice ed inequivocabile e va ad aprire l’album Telestroika del 2010. Un disco che, come suggeriscono titolo e copertina, critica l’uso della televisione che diffonde e propone una realtà finta e mistificata. Ecco allora che la vicenda di Aldrovandi si può inserire molto bene in questo contesto: basti pensare alle dichiarazioni di noti politici, come quella di Giovanardi sopra tutte, che di fronte all’evidenza dei fatti, i manganelli spezzati dopo il pestaggio e la fotografia che ritraeva il volto di Federico sdraiato su una pozza di sangue, sostenne che il ragazzo avesse solamente il capo appoggiato su un cuscino rosso. Ecco allora che, oltre alla battaglia giudiziaria portata avanti nei tribunali dai familiari, è necessaria anche una battaglia di contro-informazione per non dimenticare cosa successe quella notte a Ferrara. “Zitto, in piedi abbassa la voce / Il tuo aspetto non piace / A quelli come me. / Rappresenti questa giustizia / Ma è un errore fatale / Che diventa mortale”.
Nella canzone La Ghenga del Fil di Ferro decide di esprimere ciò che chi subisce un abuso in divisa può sentirsi dire da un “tutore dell’ordine”: “E non pensare di poter reagire / Il tuo stato può peggiorare / Se non smetti di parlare. / Ma ormai il vulcano è acceso e non si ferma / Sta finendo la pazienza / Prima o poi esploderà…”.
La canzone inoltre è presente nella compilation Revolution Rock – A Way of Life curata dall’Associazione Joe Strummer Magenta, Punkitaliano e Punkadeka all’interno della quale si trovano band storiche ed emergenti del panorama underground che con “diversi suoni, diversi stili e diversi modi condividono la stessa passione, lo stesso cuore e la stessa barricata” come ricordano gli organizzatori nel booklet del CD. In esso è presente il decalogo per i rocker rivoluzionari, stilato da Daniele Biacchessi, che al secondo punto recita: “Scegli sempre da che parte stare. Scegliere di stare dalla parte delle vittime e non nascondersi nell’indifferenza è cosa rivoluzionaria, perché le vittime non hanno mai parola”. La Ghenga del Fil di Ferro ha deciso da che parte stare senza se e senza ma: “Vaffanculo ad alta voce / Se il mio aspetto non ti piace / Che mi ferma e non mi dice: / Che questo è abuso / Questo è abuso / Questo è abuso di potere!”.

2 MASSIMO BUBOLA – QUANTE VOLTE SI PUò MORIRE E VIVERE
La carriera di Massimo Bubola incomincia negli anni ’70 ed arriva fino al nuovo millennio, durante il quale ha continuato a produrre dischi e scrivere canzoni. Una delle più recenti è Quante Volte si Può Morire e Vivere dedicata a Federico Aldrovandi, scritta però a diversi anni di distanza dalla sua morte. L’autore dichiara che il brano in questione nasce dalla commozione da lui provata nel vedere i fotogrammi della madre di Federico, Patrizia Moretti, che mostrava un ingrandimento della foto del cadavere del figlio diciottenne alla manifestazione della polizia in solidarietà ai quattro colleghi condannati dopo il fermo del settembre 2005. La canzone non si discosta dallo stile che ha reso famoso il rock d’autore di Bubola e ripercorre la vicenda di quella tragica notte Ferrarese. “Le cinque di mattina di un settembre d’oro / tornavi verso casa canticchiando un po’ da solo / Alla tua età la morte è così lontana / a diciott’anni si è immortali come chi ci ama”. Il testo procede di quartina in quartina riportando i fatti in modo da ricostruire una cronaca dettagliata della vicenda: “Ferrara è così quieta dentro le sue mura / nei viali addormentati niente fa paura / la lunga via alberata per l’ippodromo / è un fiume di memorie che ti avvolgono”. Nel racconto di Bubola non mancano però elementi poetici che non per forza alleggeriscono o addolciscono la narrazione.
Quante volte si può morire e vivere / nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime / dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti / e negli occhi tua madre che ora son più grandi”. Poco più di quattro minuti sono sufficienti al cantautore veneto per dire tutto quello che successe a Federico quello notte, “La realtà poi vinse sulla fantasia / l’incontro con quell’auto della polizia / è stato come un fulmine a ciel sereno / è stato come se passasse sopra un treno”. Le fotografie del corpo di Aldrovandi hanno mostrato a tutti il trattamento che gli agenti hanno riservato al giovane, tanto che Bubola lo fa diventare un martire laico: “Cinquantaquattro colpi avevi tatuato / sul capo, sulle braccia, sopra il tuo costato / il sangue sui capelli, il volto sfigurato /sembravi un giovin Cristo dalla croce giù calato”. Una canzone che mette l’accento, a detta dell’autore, sul rispetto della sensibilità e della pietà umana: “Quante volte si può morire e vivere / nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime / nelle foto e dentro i sogni che hanno la tua voce / dentro gli occhi di tua madre che han cambiato luce”.

3 DARKEEMO – LA CROCE
Darkeemo è un Mc lombardo che ha pubblicato il suo primo demo nel 2004, e che dopo un EP e un disco con il gruppo Cohiba Playa, nel 2010 sforna Anarchia dell’Immaginazione, suo primo album da solista. La Croce è la traccia che racconta della scomparsa di Federico e che ne vuole mantenere vivo il ricordo.
Il rapper si immedesima in Aldrovandi per raccontarci la quotidianità di un giovane adulto: “Ho 18 anni… / la mia vita è come quella di tanti, / sono solo un ragazzo fra gli altri / e come gli altri, ho sogni più o meno ingombranti, / qualche progetto e lo sguardo in avanti / com’è normale se la strada alle tue spalle / è molta meno / di quella che ti resta da affrontare / che poi è normale, pensare, che il mondo ti appartiene / e che tu soltanto lo puoi cambiare”. Darkeemo è riuscito a mettersi nei panni di Aldro con rime semplici ma senza retorica, sicuramente perché suo coetaneo, ma più di altri ha sentito vicina a sé questa storia perché sceso dal palco anche il rapper si chiama anch’egli Federico.“Sono un ragazzo come tanti, né diavoli né santi, / di quelli che si trovano in piazza / di quelli che vogliono vivere, ma senza accontentarsi, / il mio nome è Fede, Federico Aldrovandi”.
Ogni strofa contiene elementi che rendono la canzone un ottimo megafono per mostrare la verità e diffonderla, opponendosi all’ignoranza o alla disinformazione spesso imperanti anche su temi come questo. “E mi domando quale sia stato il mio errore / e l’incertezza brucia forse / anche più del dolore / cosa ho sbagliato per subire questa punizione? / dio mio, mioddio dimmi perché mi hai abbandonato / il sudore condensa in gocce di sangue, la gamba cede, / un altro colpo sulle anche.” La descrizione delle violenze perpetrate non lascia sconti e ancora una volta si ripropone un’immagine che implica un supplizio che richiama il Vangelo, al quale anche i genitori non si possono sottrarre. “Due manganelli rotti contro il mio corpo, le manette ai polsi / […] l’occhio si chiude, mentre la luce si spegne / stringimi forte madre, ritorno nel tuo ventre / perdonami per quest’assurda situazione / io ho dato la vita, a te tocca la croce”. I versi successivi mettono in rima lo slogan “Via la divisa”, che riassumeva la richiesta del movimento nato dopo l’uccisione di Aldrovandi. “Padre perdonali, non sanno ciò che fanno / mi hanno crocefisso, ma la colpa non è loro, / no, la colpa è di chi gli ha permesso di indossare la divisa / che hanno macchiato con la vergogna”. Per cantare il ritornello subentra B.Crow che propone una strofa non puramente rap, introducendo toni soavi, anticipando uno stile oggi più diffuso. “è inutile perdere tempo cercando un motivo che tanto non c’è / raccogli i miei sogni da terra, e conservali intatti nel cuore con te. / E lascia che spicchino il volo, / In un giorno d’autunno abbandonino il suolo, / divengano parte del cielo nel quale mi muovo / io rimango con te”.
La canzone si conclude con un monito riguardante un tema sul quale spesso è difficile aprire un dibattito: “Per favore, tenete lontana la compassione, / ricordate la mia vita, non la mia uccisione. / E ai vostri figli, spiegate in modo esplicativo / la differenza / tra un poliziotto e un assassino”.

En.ri-ot

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